La vita di Marnie, giovane donna che agisce furti presso grandi ditte in cui si fa assumere di volta in volta, mutando identità e interpretando il ruolo di impiegata modello, è guidata inconsciamente da un vissuto traumatico rimosso in cui da bambina aveva colpito, uccidendo, un marinaio che aggrediva la madre, durante uno degli incontri sessuali che quest’ultima conduceva per sopravvivere.
L’evento si era svolto di notte, durante un temporale, dopo che l’uomo si era avvicinato anche alla bambina e la madre era intervenuta per difenderla. Nella collisione l’uomo feriva la madre nella gamba. L’Io di Marnie rimuove il trauma, così come la madre mantiene il segreto su quanto avvenuto: si sviluppa, quindi, nella psiche di Marnie una patologia nevrotica costituita da fobie di oggetti e condizioni legati al trauma (il colore rosso come il sangue, i temporali, il mondo maschile), l’inibizione affettiva e la coazione al furto. L’incontro con Mark e con il suo amore riconduce alla coscienza gradualmente l’evento traumatico, giungendo alla catarsi finale, sciogliendo i sintomi e rendendo Marnie libera di amare La macchina da presa, come usuale nella poetica di Hitchcock., anche in questo film è in realtà rivolta costantemente verso il mondo interno, volta a cogliere ciò che di oscuro e segreto nel profondo agita l’animo di ognuno: protagonista e spettatore. Nelle scene iniziali non compare mai il volto della donna, ma in primo piano sono oggetti: la borsa, la valigia, oggetti nella valigia. Ciò può significare che protagoniste sono le forze inconsce, senza volto, che guidano l’agire. La macchina da presa si sofferma sull’immagine della borsetta, in primo piano all’inizio del film, che trova un suo doppio nella valigia. La borsetta rappresenta, alla luce di ciò che la storia rivela, la femminilità minacciata e mutilata che viene riempita di buone cose, preziose e di valore, come a riparare il danneggiamento. Dopo l’agito del primo furto, Marnie torna nella casa natale, per portare nuovi doni alla madre, dove dopo un drammatico e inquietante colloquio che sancisce l’impossibilità di incontro emotivo con lei, tenta il riposo. Nel sonno appaiono frammenti dell’incubo ricorrente, che replica la scena del trauma nelle notti di Marnie: alcuni colpi alla porta, l’immagine della madre che viene a svegliarla per farla alzare e il terrore che pervade il suo cuore. Sentendola gridare, la madre, nella realtà, giunge a svegliare Marnie. In questa scena la figura della madre si staglia nell’oscurità, quasi emergesse dal sogno stesso, silhouette dell’inquietudine che estende il pathos del sogno di Marnie in una realtà che non conosce ancora il risveglio della coscienza; il profilo della madre non illuminato e quindi non visibile, pone in primo piano i toni della voce; la sonorità senza volto (anche in lei, vedremo nel film,agisce una profonda inibizione inconscia), privata di colore affettivo, è immagine- ombra inquietante dell’assenza del materno che culla il risveglio. “…E’ sempre quando tu arrivi alla porta che comincia a fare freddo…” mormora nel sogno Marnie, aggiungendo “non mi far muovere, fa troppo freddo, non allontanarmi”: nella semantica del film la richiesta di Marnie è un’antica richiesta legata al trauma che, rimosso, riemerge confusamente nel sogno. E’possibile peraltro individuare nelle sue parole la dolorosa percezione di una madre-ambiente fredda, che, attraverso l’interiorizzazione, fa sì che l’ambiente interno della psiche di Marnie sia divenuto freddo (e tale si rivelerà nella “freddezza” con cui cambia personalità e agisce i furti o nell’ impossibile incontro d’amore con Mark), per l’assenza del calore di un buon oggetto materno interiorizzato. La madre giunge a Marnie ad un tempo nel sogno e nella realtà: congiunzione d’ immagini che perpetuano il vissuto traumatico estendendolo dal sogno al reale. Secondo un’ottica psicoanalitica che non vede nel sogno unicamente una riedizione oscura ed enigmatica del trauma (come ci suggerisce Hitchcock.), possiamo ipotizzare che in esso si esprima il desiderio più profondo in Marnie: che l’allontanamento emotivo della madre si rovesci nell’immagine in cui giunge a bussare al cuore o alla vita della figlia, per tornare ad alloggiarvi e a diffondere calore. La stessa immagine include il Sé di Marnie che “bussa” alla porta della madre, senza altra risposta che il battere del vento sulla finestra che si replica nel rumore dei passi della madre mentre si allontana.: immagini sonore del battito del suo cuore atterrito. Ancora, l’immagine della madre nel sogno può rappresentare una parte “antica” e inconscia del Sé di Marnie che ”bussa” alla coscienza, la cui unica risposta possibile, prima del processo di elaborazione, è l’angoscia. Nella scena del dialogo tentato tra le due donne Marnie non riesce a toccare il cuore della madre. Quest’ultima, infatti, sembra aver proiettato aspetti ostili e distruttivi di sé nella figlia, esitandone un allontanamento fisico (ricordiamo quando Marnie si appoggia teneramente sulla sua gamba e lei la allontana con un gemito di dolore o quando le impedisce di raccogliere le noci e riparare così il gesto aggressivo) e ancor più psicologico, scindendo e proiettando i buoni oggetti interni del proprio Sé e della buona immagine interiorizzata della figlia su Jessie, la bambina figlia di una vicina di casa di cui ora la madre ha cura. Jessie rappresenta.inconsciamente ad un tempo, per la psiche della madre, la piccola Marnie e la buona immagine di sé, unite in un sogno di innocenza integra e originaria. L’identificazione della madre con la figlia è sottolineata più volte sia dal colore dei capelli di Jessie, che la madre ama pettinare, che unisce il colore dei capelli di Marnie e della madre in gioventù, ma più ancora dall’inibizione affettiva della protagonista verso il mondo del non-materno, che replica la distanza emotiva della madre, come se in Marnie vivesse un oggetto senza vita, fantasma depressivo che prende forma dalla fusione del dolore rimosso nella psiche delle due donne. L’interazione tra madre e figlia rimanda all’impossibilità disperante di un riconoscimento dell’Altro, da parte della madre che, “accecata” inconsciamente dal trauma, avvolge la figlia di uno sguardo che la esclude, sguardo opaco che, perduto in un passato inelaborabile, attraversa l’oggetto senza riconoscere. Marnie, in ogni avvicinamento, ha visto i tratti dell’immagine materna irrigidirsi al punto da non potervi scoprire i propri tratti. La mancanza del riconoscimento materno, a mio avviso, agisce come secondo trauma che, amplificando l’effetto del primo, esita una scissione nevrotica nella personalità di Marnie configurantesi nella fioritura di un “falso Sé” adulto, adeguato e compiacente, e un “vero Sé” segreto e celato alla coscienza, legato al mondo infantile e al sentire emotivo. Anche in questo senso è possibile rinvenire una potente identificazione con la madre: così come la madre allontana Marnie, in lei anche il Sé diurno, o falso Sé, respinge oltre la regione della coscienza il mondo delle emozioni, inespresse e inesprimibili. I due mondi psichici trovano congiunzione nel furto, inscritto in una sintomatica catena di “coazioni a ripetere”. Nella narrazione i due piani di vita interiore si rincorrono e si congiungono, sfuggendo il Sé diurno dall’incontro con il vero Sé, volto antico e inascoltato della personalità, ma rimanendo attonito e sgomento dall’improvviso irrompere di elementi inconsci (colore rosso dei gladioli, gocce di sangue sulla camicetta, il sogno ricorrente, il temporale, il colore rosso sulla camicia del fantino) e dall’impossibilità di trovare una risposta che riunifichi i due mondi. Nelle parole materne l’evento traumatico trova una possibileforma di esprimibilità come “disgrazia”, antica ferita psichica che si somatizza nel dolore nella gamba della madre e nel sintomo di Marnie (coazione al furto, fobia del colore rosso e della tempesta). L’asse sintomatico mantiene una connessione madre-figlia nel ricordo inconscio del trauma che le ha divise. La coazione a ripetere il furto ha senz’altro il significato inconscio, per Marnie, di riprendere con sé la “buona madre” e i suoi doni, (con Winnicott), punendo il potente e terrifico mondo maschile, ma ha inoltre il significato ancora più pregnante di tentativo disperato di guarire la relazione con la madre, riparandone l’immagine danneggiata di cui si sente oscuramente colpevole, e la propria distruttività: “…io non sono come gli altri esseri umani, so quello che sono” dirà a Mark. Il sentimento di colpa inconscio spingerà inoltre Marnie a tentare, attraverso il reiterarsi del furto, una possibile espiazione attraverso l’intervento di un’autorità esterna. Nell’acting-out del furto,infatti, proietta fuori di sè il mondo interiore, assumendo lei stessa il ruolo distruttivo e causando l’inevitabile intervento di un Super-io esterno. Nelle scene in cui progetta il furto, Marnie guarda incantata il movimento dei cassetti che si aprono, contenenti il codice per l’apertura della cassaforte: nei suoi occhi è l’incanto del desiderio di aprire l’impermeabilità della madre e goderne i suoi doni, sorretto dalla fantasia inconscia di una “madre-cassaforte”, ricca di buoni oggetti da cui lei è esclusa, l’unica “cassaforte” che non può aprire. L’incontro con Mark Rutland segna l’inizio della trasformazione. Egli, impersonando una funzione contenitiva interna, analitica e materna, si inserisce come “terzo” strutturante nella dicotomia “Io –mondo pulsionale”, “vero e falso Sé”, “madre-figlia”, che lacera l’animo di Marnie. Gustosa è la citazione di Hitchcock, che situa nello studio di Mark oggetti di arte pre-colombiana, come nella stanza di analisi di S.Freud e, più avanti, nella disposizione spaziale di Mark, sulla sedia, e di Marnie, sul letto (nella scena del”gioco” delle libere associazioni) che richiama la configurazione del setting analitico.
Psicoterapeuta Psicoanalitico
Formazione Psicoanalitica post Lauream
“Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”