La parola amore esiste: psicoanalisi II

Nel mondo delle leggende e della fiaba sono spesso presenti tre chiavi (d’argento, d’oro e di diamante) che, in successione, permettono l’accesso a tre stanze segrete, in analogia ai gradi di avvicinamento al mistero. L’immagine della chiave rimanda simbolicamente all’enigma dell’anima da sciogliere, dei misteri da svelare, alle imprese ardite: essa parla del rivelamento interiore, dell’illuminazione psichica. Nel trovare e ricomporre la chiave si esprime l’intuizione inconscia, in Angela, dell’avvio di un processo interiore di individuazione, dello scioglimento del molteplice enigma della sua anima. L’immagine della chiave rimanda, poi, alla simbologia della porta (ricordiamo come i protagonisti siano ripresi in molte inquadrature nell’atto di varcare la soglia, o nel chiudere porte dietro di sé o ancora di fronte a porte inaccessibili). La porta, sul piano simbolico, raffigura il passaggio tra due mondi, la vita e la morte, il noto e l’ignoto, l’esortazione al viaggio rigenerante verso un altrove psichico, verso l’espansione e reintegrazione del Sé. I protagonisti, quindi, raffigurati su una soglia che non diviene apertura, esprimono una revêrie del cammino, sogno di aperture inaccessibili: il loro continuo movimento è un sostare nell’impossibile accesso alla porta del Sé. All’immagine della porta si collega, inoltre, il simbolo della scala, così presente anch’esso nel racconto. Sul piano simbolico ogni scala parla del ricongiungimento tra cielo e terra, tra l’alto e il basso, della verticalità dell’esistere, slancio ascensionale dell’anima. I personaggi del film, nel perenne innalzarsi su scale e ascensori, esprimono un desiderio di elevazione dell’essere, un capovolgimento della dinamica della caduta, della dialettica dell’abbattimento. La psiche della protagonista è racchiusa in una segreta mitologia in cui il bisogno di equilibrio è dato da una numerologia dell’anima. E sarà un’intima costellazione matematica a guidarla verso l’amore per Marco: lo amerà perchè lo ha incontrato il ventisette, “amore perfetto”, vicino alla sua abitazione segnata dal numero tre, ed era vestito di rosso. Ma l’Io che non cinge tra le braccia il suo mondo interiore teme l’incontro, teme di smarrirsi e cadere: Angela racconta infatti allo psicoterapeuta un sogno in cui incontra Marco e, nel momento dell’abbraccio, si sveglia nel panico. L’inizio della trasformazione interiore ha luogo quando Angela scopre che sulla sua porta è stato posto il numero undici, nei suoi pensieri misteriosamente legato alla solitudine. L’undici è l’uno che si replica, che non diviene dualità, si rispecchia nel monologo che impedisce il dialogo. Di fronte a quel piccolo numero l’anima di Angela si sporge sulla solitudine fin lì agita senza essere vissuta e sviluppa un’oscura consapevolezza del suo essere: “L’undici l’ha sempre avuto, solo che prima non c’era la targhetta” risponde la portinaia dello stabile alle sue proteste. Il numero le rivela l’insieme della sua condizione psichica. Non potrà più varcare la porta perchè il suo Io ha fatto contatto con il dolore di un nomadismo interiore che nasce dall’assenza di una dimora psichica. Ma sarà proprio nel momento in cui lei assume la sua solitudine a non essere psichicamente più sola. Nella coscienza rigenerata il vuoto si fa mancanza. La simbologia del numero undici rimanda, inoltre, a significati di rinnovamento nel ciclo vitale. Sopraggiungendo alla completezza del dieci l’undici raffigura l’eccesso, il traboccamento, l’iniziativa individuale nel conflitto con l’armonia cosmica, il trasgredire ribelle alla legge. Nella psiche di Angela inizia così la ricerca del rifugio. Angela, infatti, dopo aver rinunciato alla non-casa e abbracciando il proprio dolore, rinuncia ai non-rapporti che racchiudono, in forme perfette, il nulla affettivo e il disconoscimento: torna dallo psicoterapeuta e dalla madre per difendere la sua verità, il dolore trova forza in una ricerca disperata di involucri affettivi che l’accolgano e l’Io scioglie, attraverso il rifiuto, il suo legame con il nulla. Così, nel ricovero in clinica, è pronta all’incontro con l’alterità di Sara, nel cui sguardo si sente esistere. Sara, infatti, sarà l’unica che dona speranza ai suoi sogni e realtà ai sentimenti; trasponendo il desiderio di Angela nel mondo del possibile lo renderà pronunciabile: “Ma perchè lei è così triste? … invece secondo me andrà bene, lo sposerà” le dirà sulla spiaggia e, sul finale, salutandola: “… vedrà che tutto andrà bene con quel Marco: io non mi sbaglio mai”. Il pensiero beneaugurante di Sara diviene, silenziosamente, indicazione di destini felici, sostituisce psichicamente, in Angela, la mitologia numerica con la paroladell’altro. Nel ritrovato scambio affettivo con Sara, Angela prosegue la sua lotta per la prima volta per sé e per un altro, contro un mondo abitato dalla paura di amare: “Ha visto in che stato è la signora Sara?” dirà al medico della clinica e, difendendo una verità interiore divenuta pronunciabile “… non siete capaci di amare le persone così come sono … è l’amore che guarisce”. Difendendo la vulnerabilità di Sara difende la propria fragilità e sviluppa, sciogliendo inconsapevolmente un destino di dipendenza, una pelle psichica che pone al riparo le sue parti più fragili e delicate. Nel contrasto senza timori con una realtà rifiutante, il Sé ritrovato prosegue il suo viaggio. Ora Angela potrà tornare verso casa perchè, accogliendo il dolore della solitudine, l’Io ha costruito la sua dimora psichica, dove il contenimento della sofferenza diviene forza dell’anima. Nella vita di Marco si sviluppa un processo psichico che riflette la dinamica trasformativa in Angela, come è sottolineato dalla musica del violoncello che, estendendosi tra le scene in cui i due protagonisti sono ritratti separatamente, riunisce i due mondi. Entrambi vivono inizialmente l’amore come momento dell’illusione, rapiti silenziosamente in un disegno amoroso donato da un destino benevolo, che si rivela ad Angela attraverso il concerto delle coincidenze e a Marco dal sentirsi amato nel mistero delle piccole poesie senza volto. Dopo la disillusione nell’incontro mancato (ricordiamo la scena dell’incontro nel parco in cui lei, non riconosciuta da Marco come l’autrice dei messaggi, si allontana affranta e la scena in cui lui rimane smarrito di fronte allo svelamento del suo equivoco), la psiche di ognuno dei due esce dal suo universo passivo, rinunciando a nutrirsi di un oggetto idealizzato e salvifico. Attraverso l’assunzione inconscia del dolore della mancanza, il rapporto si apre al dono. Nella psiche di Marco nasce un discorso di paternità in cui può donare nuovi sì alla figlia, restaurando con lei un mondo affettivo che accoglie la soggettività nascente e conferma il legame. Angela ripara, nel rapporto con Sara, le immagini delle appartenenze danneggiate. In entrambi la trasformazione psichica ha permesso un mutamento di senso nella scelta oggettuale: in un primo momento nel film è sottolineata una funzione difensiva dell’oggetto d’amore fantasticato, volta a sostituire gli oggetti perduti, a celare e coprire il vuoto d’essere. Dopo aver riparato separatamente l’area del legame, Angela e Marco possono aprirsi all’incontro nel mondo reale. Nell’ultima scena la bella metafora: sospingono insieme l’automobile di lui, che non ha più benzina, fino ad una stazione di servizio, che compare d’improvviso: sostengono l’Io (simboleggiata dall’automobile) che rinviene nel reale la risposta ad un desiderio di rifornimento libidico, amoroso. Il sogno d’amore trova forma nel mondo poiché la psiche dei protagonisti può ora tessere l’incontro con l’Altro non più sull’assenza, ma nella rêverie dell’appartenere.

 

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Nome spettacolo
  1. avatar Dott.ssa Maria Rita Ferrisays:

    Psicoterapeuta Psicoanalitico
    Formazione Psicoanalitica post Lauream
    “Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”