Il soggetto che vive un’identificazione grandiosa con il Male sposta su una scena cosmica il problema di un piccolo Io. Poiché il Male in Psicoanalisi è l’assenza del buon oggetto amato, maggiore è l’universalizzazione del Male, maggiore il dolore. Consiste nel dare realtà al Male, nel tentativo di contenere il dolore di cui è segno, di spostarlo su un piano di simboli per compensare attraverso un eccesso di trasgressione operatoria un’assenza di pensiero, che caratterizza, con Racamier, il narcisismo perverso, e quindi assenza di capacità di astrazione, sublimazione e creatività. Un pensiero che non evolve, quello perverso, ma costretto alla ripetizione del medesimo: sottomissione dell’Altro come negazione di una propria dipendenza strutturale e riempimento rituale di un proprio Narcisismo acerbo e difettuale legato alla natura fusionale della relazione d’oggetto Per la struttura perversa della personalità il potere, infatti, è poter Essere. Egli capovolge la dipendenza propria in dipendenza dell’Altro, si assicura che sia l’Altro a patire perché ciò è certezza di avere espulso da sé il dolore non trasformabile, in presenza di un pensiero così immaturo da rimanere operatorio (ovvero che ha bisogno dell’agire per essere). La soggettività perversa si condanna alla ripetizione rituale di sé perché, dunque, non può pensare e quindi passare ad altro. Poiché la vita è pensiero, la non pensabilità ne è la morte. Il suo è, dunque, un non-pensiero, un appoggiarsi alla realtà senza poterla ne’ attendere, ne’ vivere. Vive tra le due dimensioni senza accedervi. Per mantenersi, non in vita perché gli è preclusa, in assenza di integrazione interna, ma in posizione eretta, si sporge su una volontà piegata di Altri, e su di essa pone radici. Poiché non ha radici nella terra la sua vita è solo fuga da una morte imminente. Le forme di vita non contano. La sostanza è mantenersi in vita senza esservi. Il pensiero nel soggetto perverso non è mai giunto alla sintesi hegeliana, al terzo snodo che amalgama i precedenti e fa evolvere il discorso. La mente Narcisista, infatti, rimane con accanimento in una proto-dialettica fichtiana. Il terzo elemento, la sintesi hegeliana, è il simbolo, ovvero ciò che trasforma in cultura la terra: L’ humanitas che include il principio dei due opposti e ne fa una gemma. Al contrario, la mente del narcisista permane nell’antica dialettica illuministica, dove uccidere era uccidere davvero e non simbolicamente, ovvero superare la dicotomia estraendone il senso e permettere la genesi del nuovo, proprio del pensiero Romantico. Vive e pensa senza evolvere, in ripetizioni di scene mai vissute ma sempre temute, non organizzabili in forma di vita, ne’ simbolizzabili. Egli, quindi, vive prima della vita. E’ creatura di un altro secolo. Vive in una mise en scène del racconto di un Sé che torna a vivere nella grandiosità fuori misura, assicurata dal potere su-di-un-Altro-i, o più precisamente sulla loro volontà. Distrugge ciò che non può creare, ciò che non può generare: distrugge il pensiero dell’altro per non patire il dolore di non averne. Il suo è bisogno di orizzontalità dell’Altro per percepire l’illusione di una propria verticalità. Realizza un dominio sull’altro, attraverso un alternarsi di lusinghe e svalutazioni, come forma di annullamento di questi per negare, nell’agito, un proprio non-essere, né possibilità di venire ad essere-in-vita, a causa della discontinuità dell’Io oscuramente percepita da un incipit di inconscio. Dove ha certezza la continuità e quindi la buona integrazione dell’Io che può salvarlo dal divenire perverso? Noi sappiamo che l’investimento libidico (Affettivo) costante della madre è base per la continuità dell’Io. Un grave trauma nella vita della madre, in tenera età, non elaborato, e riattivato da un nuovo, può interrompere il flusso costante degli investimenti. Ed è proprio, a mio avviso, l’infrangersi senza ritorno degli investimenti alla base di un arresto della continuità dell’Io, tipico della personalità perversa. La perversione può configurarsi dunque un tentativo narcisistico di ritrovarla, la continuità, in età adulta, attraverso l’Altro, ovvero usando l’Altro come ponte per le proprie scissioni interne. Per questo, pur non giungendo mai ad amarlo, non può rinunciarvi. Il possesso sull’Altro, infatti, è per lui, inconsciamente, garanzia di un’integrazione in realtà mai avvenuta dell’Io; è, per il soggetto perverso, possedere la continuità di un Io scisso originariamente perché non sufficientemente investito. L’ Altro colma, dunque, una lacuna ontologica con la sua presenza devota. Ma il dubbio, o meglio il sospetto, che è forma nel pensiero di una realtà interna scissa dell’Io, costringe il soggetto perverso ad inseguire l’Altro, tormentarlo perché certamente infedele, sleale nel respiro solitario presente in ogni accenno di autonomia e nel sottrarsi ad una fusione malade ma vitale per il perverso. La fusione con l’oggetto è sì, oggetto di ambivalenza, per il soggetto perverso, ma di tipo arcaico, come alternanza di segno (per es.: prima vicino- poi distante), mai giunge l’ambivalenza al contrasto intimo da cui far sorgere un simbolo. La fusione è al tempo stesso temuta, per un Io solo apparentemente compatto, come quello del soggetto maltrattante, perché in essa egli potrebbe svanire. Raggiunta nei fatti, viene dunque negata nei toni e nell’agito, attraverso l’affermazione di una propria superiorità extroflessa. L’Altro è amato o cercato solo in quanto oggetto narcisistico, lago nelle cui acque riflettersi e così sapere di esistere. E’ in questo senso che, attraverso l’Altro, il Narcisismo di Morte si capovolge, nella sola forma, in Narcisismo di Vita.
Vive e pensa senza evolvere, in ripetizioni di scene mai vissute ma sempre temute, non organizzabili in forma di vita, ne’ simbolizzabili. Egli, quindi, vive prima della vita. E’ creatura di un altro secolo. Vive in una mise en scène del racconto di un Sé che torna a vivere nella grandiosità fuori misura, assicurata dal potere su-di-un Altro-i, o più precisamente sulla loro volontà. Distrugge ciò che non può creare, ciò che non può generare: distrugge il pensiero dell’altro per non patire il dolore di non averne. Il suo è bisogno di orizzontalità dell’Altro per percepire l’illusione di una propria verticalità. Realizza un dominio sull’altro, attraverso un alternarsi di lusinghe e svalutazioni, come forma di annullamento di questi per negare, nell’agito, un proprio non-essere, né possibilità di venire ad essere-in-vita, a causa della discontinuità dell’Io oscuramente percepita da un incipit di inconscio. Dove ha certezza la continuità e quindi la buona integrazione dell’Io che può salvarlo dal divenire perverso? Noi sappiamo che l’investimento libidico (Affettivo) costante della madre è base per la continuità dell’Io. Un grave trauma nella vita della madre, in tenera età, non elaborato, e riattivato da un nuovo, può interrompere il flusso costante degli investimenti. Ed è proprio, a mio avviso, l’infrangersi senza ritorno degli investimenti alla base di un arresto della continuità dell’Io, tipico della personalità perversa. La perversione può configurarsi dunque un tentativo narcisistico di ritrovarla, la continuità, in età adulta, attraverso l’Altro, ovvero usando l’Altro come ponte per le proprie scissioni interne. Per questo, pur non giungendo mai ad amarlo, non può rinunciarvi. Il possesso sull’Altro, infatti, è per lui, inconsciamente, garanzia di un’integrazione in realtà mai avvenuta dell’Io; è, per il soggetto perverso, possedere la continuità di un Io scisso originariamente perché non sufficientemente investito. L’ Altro colma, dunque, una lacuna ontologica con la sua presenza devota. Ma il dubbio, o meglio il sospetto, che è forma nel pensiero di una realtà interna scissa dell’Io, costringe il soggetto perverso ad inseguire l’Altro, tormentarlo perché certamente infedele, sleale nel respiro solitario presente in ogni accenno di autonomia e nel sottrarsi ad una fusione malade ma vitale per il perverso. La fusione con l’oggetto è sì, oggetto di ambivalenza, per il soggetto perverso, ma di tipo arcaico, come alternanza di segno (per es.: prima vicino- poi distante), mai giunge l’ambivalenza al contrasto intimo da cui far sorgere un simbolo. La fusione è al tempo stesso temuta, per un Io solo apparentemente compatto, come quello del soggetto maltrattante, perché in essa egli potrebbe svanire. Raggiunta nei fatti, viene dunque negata nei toni e nell’agito, attraverso l’affermazione di una propria superioritàextroflessa. L’Altro è amato o cercato solo in quanto oggetto narcisistico, lago nelle cui acque riflettersi e così sapere di esistere. E’ in questo senso che, attraverso l’Altro, il Narcisismo di Morte si capovolge, nella sola forma, in Narcisismo di Vita. Perché questo struggente bisogno del potere e del controllo sull’Altro? Dove si origina tale perverso bisogno? Dal fatto, dunque, che l’Altro, desoggettivato, cioè mai percepito come Altro-da-Sé, e svuotato di una sua volontà, è il nesso, come abbiamo visto, che manca alla continuità dell’Io e quindi la balaustra che lo sorregge e impedisce l’implosione psicotica, ovvero la morte psichica del soggetto perverso. L’Altro, sottomesso, è dunque cosa, mezzo, in quanto tale sostituibile ma inalienabile. Il soggetto perverso in realtà non cerca il potere sessuale (che pure usa), perché vive in una land che lo precede: il potere è per lui, già un essere, il potere sessuale implica l’Alterità dell’Altro, del buon oggetto investito, cui il soggetto perverso non giunge, poiché nel suo mondo non ha né oggetti né investimenti. Il potere, nel Narcisista, è dunque legato al registro ontologico, è quindi certezza di vita, precede il possesso, egli in quanto ha potere su un altro egli è. Infatti non ha il senso del possesso perché non ha il senso del limite. La sua onnipotenza, inoltre, non proviene da un’affermazione euforica o più propriamente maniacale di sé, ci dice P. C. Racamier (che includerebbe il senso dell’esistenza di un oggetto su cui avere supremazia), la sua onnipotenza proviene da un disconoscere i confini e quindi l’interiorità, propria e di altri. Figli di madri assenti, sono fuori del tempo e dello spazio: il loro villaggio è un non-luogo, definiti da un’assenza di tòpos, ovvero di spazio interno, dove si svolge una mancanza di vita. Dove avviene una ritualità ostile che sancisce la distruzione già avvenuta della soggettività dell’Altro, ovvero del suo pensiero. Il soggetto Narcisista, mai realmente investito dalla Madre nella sostanza, ma solo nella forma, fa del suo apparire un culto. La sottomissione dell’Altro si pone come necessaria per mantenerlo. Il culto di sé e la sottomissione dell’altro sono la base del suo ergersi, ovvero di ciò che sostituisce il suo sentirsi in vita E’ in questo senso che il comando, il potere è per lui davvero un poter essere. Il suo è un Ego sconfinato che include l’Altro senza riconoscerlo, non quale suo partner, ma come oggetto parziale, balaustra su cui ergersi, luogo in cui riporre ogni lutto su cui trionfare.
Un antico lutto non poté aver luogo nella mente del primo oggetto d’amore, la madre, perché troppo grande il dolore per poter essere pensato e patito e dunque esso si celò nel cuore di lei attraverso la negazione e lì gelò. Superato parzialmente, esso torna a vivere in lei attraverso un nuovo trauma intervenuto in età adulta, quando il piccolo Io del bambino è in acerba formazione. Ed è così che lo sguardo lontano della madre, che ha perduto un’antica imago amata, nel rincorrerla attraversa senza più avvolgere il piccolo Io, che un giorno diverrà perverso, e che si trova a far suo, d’emblée, un lutto invisibile e d’altri. Se la madre non poté elaborare le antiche ferite e perdite, il suo sguardo, perduto in un orizzonte svanito, è sguardo malinconico, che attraversa il bambino senza davvero vederlo. La mente del bambino, nel tentativo di rincorrere tale sguardo siderale, si colma del vuoto che incontra e fa suo, quindi, il lutto materno mancato. E’ anche vero che il primo atto d’amore consiste nel divenire l’oggetto, identificazione primaria, con S. Freud, essere l’oggetto attraverso l’incorporazione smisurata di esso, con F. Russo. E’ così che il bambino assume dentro di sé completamente l’oggetto ed il suo inconscio, e quindi anche ciò che vive in esso, prima che nasca il pensiero, e quindi profondamente. Nel caso di una madre malinconica il piccolo Io, che diverrà perverso, fa suo un lutto di lei, e da lei negato per vivere. Così lo ripone in un nucleo interno, come un secondo inconscio, nelle riflessioni di N. Abraham e M. Torok, e diviene un oggetto morto, una madre in lutto, e quindi una madre morta, interna, che genera morte, con A. Green. In questo senso, nella personalità perversa, si può parlare di Narcisismo che mai poté legarsi alla vita, Narcisismo, dunque, di Morte, nel senso, a mio avviso, che l’Io è pervaso dall’amore inconscio e appassionato per una madre morta che lo abita e deve uccidere il pensiero, proprio e altrui, per riempire illusoriamente la cripta dei lutti mancati dell’Altro materno. La passione per la Madre diviene dunque passione per la Morte, e la Morte stessa diviene la Madre amata a cui restituire il mondo, che pure era suo un giorno, se non può restituirle la vita. Il complesso della madre morta di Green è dunque la trasmissione, tra le generazioni, di un lutto non fatto e quindi impensabile, e dunque, già fatalement perverso. Tale lutto della madre, interiorizzato, produce all’interno dell’Io un “nucleo freddo”, noyeau froid, con A. Green. Il narcisismo originario diviene così Narcisismo di Morte, esso avvolge infatti il nucleo morto, nucleo freddo che non può trasformare perché impensabile e perché abita il pensiero e ad esso si sostituisce: è disconnessione o slegamento, impedisce il pensare. Impedisce altresì all’Io di formarsi: esso si deforma o si conforma all’Ideale dell’Io. Egli avvolge di una coltre preziosa, intessuta dall’Ideale dell’Io le noyeau froid da cui non fu protetto ma di cui anzi fu il porta-voce e, per non congelare e infrangere l’Io, non potendo rimuovere un lutto rimosso da Altri, ne’contenerlo senza implodere, lo destinò ad altre menti a lui devote. Ciò spiega perché il narcisismo fa dell’Altro un oggetto depresso. Ma il trasferimento è tanto più pervicace quanto illusorio. Mantenne infatti per sé l’intimo vuoto da lui negato e avvolto dall’Ideale dell’Io con cui si identificò. Tale vuoto, traccia della madre amata, poté essere imminenza di morte psichica. Si rese necessario, allora, aderire alla periferia del vuoto, ad un Ideale senza sostanza, e trovarne certezza nel dominio sulle cose del mondo. Divenne così egli stesso La Legge e di sé fece un culto. La Personalità Perversa è dunque personalità ambigua, ma non ambivalente, poiché ha certezza di odio, ma mai di vita. Poiché, infatti non assurse mai a lungo ad oggetto d’amore, la mancanza di investimento fu la sua successiva mancanza di vita. Non ebbe la forza sufficiente, poi, da poter investire su Sé, per giungere ad un narcisismo di vita, ne’ mai su un altro, egli vive dunque nella negazione di un vuoto iniziale. La Perversione è figlia di un’ assenza improvvisa di desiderio dell’Altro materno, di un vuoto sopraggiunto nella terra d’origine, vuoto d’origine. Poiché non più investito non può egli stesso investire. La sua passione è lo slegamento, la rottura, il disinvestimento, ne fa un Mito. Vittima di un gesto interrotto, riempie di gesti ostili un non senso mai percepito del tutto, per non sprofondarne. La mancanza di sufficiente investimento lo costringe a non aver nome, ne’ identità e, per non svanire, assume su di sé l’identità con ciò che più teme: la caducità del bene, ovvero la Morte. La Morte, diventando Inno, diviene, nella sua folie, il Bene, la Madre noire di cui amare il culto. Viene sottratta al destino, diviene potere infinito ed assoluto sulla caducità del mondo, caducità che costringe a vivere senza un nome che sostenga. La mancanza della voce dell’Altro materno e del suo sguardo accende una passione di potere sul mondo, diviene il soggetto, egli stesso, un dio senza nome né traccia, un dio temuto, forse, ma mai nato. Ciò ha a che vedere con il fatto che la pensabilità del reale, nel soggetto perverso, è posizionata per lo più al livello pittografico, (con P. Aulagnier), come dire geroglifico: accenno grafico di rappresentazione che non giunge a significare, a nominare la cosa rappresentata, ma solo a disegnarla e scambiare il disegno per essa. In questo senso ogni segno è già cosa, è già reale, e il rituale del culto perde ogni possibile potere simbolico per divenire evocazione diretta della Cosa. Il pensiero è dunque a livello di rappresentazione di cosa, duplica il reale senza comprenderlo, ma poiché lo nomina, ha l’illusione di averlo in suo dominio. In assenza di confini certi tra mondo esterno ed interno, requisito primo perché il pensiero possa davvero emanciparsi dal reale, non può esistere un mondo interno immaginario, e quindi ogni parola corrisponde ad un elemento del mondo, intrasformabile e dunque da dominare, e quindi parola magica. Avendo dunque un pensiero ancora terroso, non in grado di modificare la pietra, il soggetto perverso vive senza un domani. L’inaspettata perdita degli investimenti non lo ha dotato di un’identità passata (egli è, in fondo, un elemento grezzo in cerca di un simbolo per esistere), e dunque non può investire su se stesso ne’ sulle proprie parole. Il suo pensiero, infatti, non ha la complessità del discorso, ma la sintesi di un comando. Parole dure come pietre, le sue, non da lui stesso investite, e dunque parole-di-un-altro, sono in realtà parole della Cosa, Madre mitica e originaria, centro del culto di sé che, come Krónos, divora il mondo che genera. Parole, dunque che, non potendo modificare la “Cosa”, Das Ding (con Freud), ne divengono l’evocazione, evocazione di ciò che vive prima della vita, in un mondo senza oggetti, “… di retro al sol, del mondo sanza gente…”(Dante, Inferno, canto dei consiglieri di frode, ovvero dell’assenza del limite, XXVI v.117) Parola che lo riunisce alla Cosa e lo rende crudele e così drammaticamente, celui qui n’est pas en vie.
Psicoterapeuta Psicoanalitico
Formazione Psicoanalitica post Lauream
“Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”