Il corpo è il destino. Una trasformazione del corpo ha del perturbante perché compresa dall’Inconscio come trasformazione del destino. Destino identitario. Destino dell’essere, esso sancisce se gli investimenti sul Sé siano o meno riusciti, se l’Ideale dell’Io abbia baciato il reale. Il corpo è sostanza del rincorrere dell’Io che tende a ricongiungersi con l’oggetto amato. Nel corpo si inscrive, inoltre, la perdita ed il ritrovamento dell’oggetto estetico e trasformativo (C. Bollas), e ad esso dona visibilità. Il corpo, dunque, racconta la storia e il destino di cure materne irrinunciabili per esistere. E’ esso il regno dell’Ideale dell’Io. Poiché, inoltre, il soma è la sede delle sensazioni-emozioni vissute, il corpo diviene il diario in cui è possibile che si conservi il ricordo e l’incisione, come nei muri di A. Tàpies, di ogni nostro vivere, il ricordo dell’Altro e del nostro Sé uniti: diario intimo di un incontro. L’Io trovò dimora nel soma nei tempi in cui essere era essere- con-la-madre (C.Bollas), ovvero con un oggetto altamente trasformativo (che trasforma il Sé), un vero oggetto estetico. Inizialmente l’Io viveva nel volto della madre, quando sorridere a lei era riconoscerla come sua creatura. La ricorrente esperienza d’essere-con-lei dona stabilità dell’essere al piccolo Io, e l’idioma delle cure materne permette alla psiche di riconoscere nel corpo la propria dimora, mantenendo pur sempre nel volto della madre il proprio inizio al mondo. Il soggetto ha abitato, infatti, un tempo, il volto della madre, esso era la sua dimora, e il suo inizio. Attraverso l’idioma delle cure della madre esso integrerà la “penombra di associazioni” con W. Bion, ovvero le sensazioni-emozioni che il mondo conosciuto e non ancora pensato, attraverso le mani della madre gli offrirà in un’unica entità dove egli potrà poggiarsi ed ex-sistere. La memoria del primo luogo si intreccia con la memoria di un primo esistere, ove l’incontro con l’oggetto non aveva rappresentazione, ma esitava in una ricorrente esperienza d’essere trasformato dall’Altro. E nel suo vivere il soggetto non rinuncerà alla ricerca di un oggetto d’amore che, per esser tale, deve promettere una trasformazione del Sé e del suo corpo. Nell’ontogenesi l’Io ne ha memoria, come di un oggetto conosciuto e non pensato (C. Bollas), come primo corpo in cui vivere. La sacralità dell’oggetto, per l’Io, deriva dall’essere il suo inizio ontogenetico e nel suo potere di destare amore, ovvero trasformare lo stato vitale del Sé. L’Io ha abitato l’oggetto trasformativo, ed il passaggio al corpo coincide, dunque, con un lutto dell’oggetto primario, difficile a farsi, tanto che l’oggetto corpo non è spesso amato dall’Io, né riconosciuto, perché luogo di una mancanza originaria, perché privato dell’Altro, di cui conserva con cura l’orma. Esso indica una caduta nel reale dal sogno di unione che un giorno era pur vero, di creare ogni momento il mondo e Sé. Amare il corpo è per l’Io amare l’idea di aver avuto un inizio, attraverso una separazione dal mondo e aver perduto il dono di esistere per sempre. Il corpo è memoria di tale antica separazione di cui non si ha ricordo, ma dolore. E’ memoria di un lutto: per avere un corpo bisogna dimenticare le stelle.
Si può chiedere, inconsciamente, ad esso, di avere un potere trasformativo sull’Altro. Il soggetto, così, si identifica immaginariamente con il primo oggetto del suo amore. E’ lo sguardo dell’Altro, quindi, a testimoniare che il corpo abbia trattenuto in sé quella sacralità trasformativa che era certezza per l’Io di un primo amore. L’Ideale dell’Io giunge in soccorso dell’Io perché suggerisce una forma ideale di esistere, un punto di luce sull’orizzonte, un fine. L’immagine di sé trattiene la luce di un primo amore come ideale di cui il corpo non può che essere un effetto: l’ombra di un primo oggetto amato e perduto perché divenuto altro-da-sé. Non scompare, nell’Io, il sentimento di essere stati un tempo un punto senza confini, che raccoglieva, oltre ogni limite, la filogenesi di un sogno: essere uno nell’universo materno. Il corpo è per l’Io, intimamente, la madre, il suo ricordo ardente e del momento in cui essere era essere-con-lei. Poter separarsi dai sogni ontogenetici permette di esistere, avere un’ombra. Il corpo è dunque, l’immagine pittografica di un inizio. In una prima adolescenza ha luogo, poi, una sistemazione della deidealizzazione dei genitori, iniziata in maggio, nella latenza, verso gli otto-nove anni, quando un suono di campana improvviso o un canto di lontani uomini al lavoro rivelavano al piccolo Sé l’inefficacia delle identificazioni infantili ed il crollo degli investimenti d’amore ad esse unite. Da quel giorno un’immagine ignorata di sé si insinuò nel corpo, per rivelarsi al primo disinvestimento di un altro. Accogliere il corpo è, d’altronde, sempre accogliere la fine di un sogno, ma anche l’inizio di un percorso identitario, congiungendo la corporeità all’Ideale dell’Io. L’Io, perduto l’oggetto, ha sulle labbra un corpo proprio, come nuovo destino possibile, in cerca di una psiche che lo abiti e lo pensi in esistenza. Proseguire senza l’Altro fa affiorare, infatti, un Ideale che, nell’identificante, precede e accompagna il divenire corporeo. Essere al centro di un’evoluzione è essere al centro di un impasto pulsionale, possibile solo se l’oggetto mai sarà “perduto di vista”, con J. B.Pontalis. E’anche vero che ogni perdita oggettuale è una perdita di imago corporea, perché l’Altro era in noi. Tornare ad essere nel corpo è tornare a ricomporre i frammenti d’essere che ogni perdita generò e ricostruire, filo a filo, ogni tessuto d’amore che legò l’Io all’oggetto. Vivere nel corpo è dunque ricomporre e riparare all’interno l’oggetto perduto, come memoria amata di sé, e ricostruire l’identità come un arricchimento di senso e dunque estetico, che diviene passione d’essere. Va aggiunto, infine, che il corpo, in un pensiero pittografico, in quanto alter ego dello psichico, è rappresentante di un non-essere, prolungamento sconosciuto di una psiche che cerca l’assoluto. Come non essere il corpo viene negato al vivere, non appartiene ad alcuno. E’ resto abbandonato perché non pensato, abitato da Thanatos e quindi misconosciuto dal vivente. Abbracciare l’Ideale dell’Io è il ritrovamento, nel corpo e nella psiche, dell’oggetto amato, osservare la luna una seconda volta.
Psicoterapeuta Psicoanalitico
Formazione Psicoanalitica post Lauream
“Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”