Il Discorso del Re: psicoanalisi II

Il fine di un percorso psicoterapeutico di orientamento analitico, è, naturalmente, la guarigione profonda, attraverso elementi sottili e fondamentali, che l’analista pone in essere, ed in particolare

1) Contenere l’angoscia
2) Comprendere il linguaggio-sogno del sintomo;
3) Cogliere la sofferenza esistenziale che in esso vive
4) Elaborare le perdite
5) Favorire il passaggio dal conflitto interno al dialogo interiore
6) Favorire il pensiero
7) Dare respiro al desiderio inconscio, o favorire la sua rinascita
8) Rendere possibile, per il paziente, di giungere a sviluppare una capacità di lavoro psicologico inconscio, di “respirare” le emozioni e, quindi, potersi sentir vivo, in esistenza.

Per comprendere meglio il trattamento psicoanalitico e i suoi punti nevralgici è necessario partire da una considerazione iniziale: ogni processo vitale nasce da un’originaria indifferenziazione del bambino dall’oggetto materno e giunge a successivi passaggi separativi che permettono la crescita. Ma la prima separazione si elabora attraverso le cure materne. Il grembo torna ad esser-ci, simbolicamente, attraverso l’abbraccio e le cure, l’investimento affettivo ed il legame. Ciò permette l’elaborazione della prima, originaria, separazione biologica e offre la capacità di elaborare tutte le successive separazioni. Ogni evento separativo è un piccolo lutto che chiede un lavoro dell’Io. La biografia di ognuno è costellata di passaggi separativi, perdita e ritrovamento di oggetti affettivi. Ogni cambiamento nel processo vitale richiede un separarsi da qualche oggetto affettivo. Ma in ogni perdita vive anche una perdita di una parte del Sé, quella parte dell’Ideale di sé che, proiettata sull’oggetto, lo rende indimenticabile e necessario. L’oggetto, svanendo, porta via con sé il desiderio che, nel soggetto, lo formò. Perdendo, dunque il primo, il soggetto si trova con una domanda che non può più rivolgere ad alcuno… (M. C. Lambotte). Il trattamento analitico si può configurare come un viaggio interiore, con la parola-dell’altro, che permette un lasciar andare “l’ombra dell’oggetto perduto” (S. Freud) e il ritrovamento di senso, che tale oggetto, in qualità di Significante, ovvero di colui che donava un senso al vivere, assumeva in sé. L’Analisi rende dunque possibile, per il soggetto in lutto, la rinuncia ad essere uno con il sogno: slegamento originario, o castrazione, che permette nuovi sogni, attraverso il confine così, infine dato, tra reale e fantastico. La parola “ambiente” viene etimologicamente da ambiens, girare intorno, ovvero circondare con l’abbraccio.Il bambino ha esperienza inizialmente, nel sentirsi non ancora distinto, con la madre-ambiente che lo avvolge e fa da filtro con l’ambiente oggettivo al fine di renderlo adatto ai bisogni del piccolo. C’è un momento, ricorda Racamier, in cui il bambino si distoglie dalla madre ambiente e la perde, si allontana dunque da una madre che è come un’atmosfera e la ricorda, scopre una madre che è distinta da lui e quindi un oggetto e lo desidera. Di colpo il mondo si divide in due: interno ed esterno. Lutto dell’unisono originario. Attraverso la divisione tra esterno ed interno nasce il pensare, rappresentare il mondo interno ed esterno. Possiamo dire che il pensiero che il paziente porta all’analista è un pensiero irrigidito che si muove attorno al sintomo e da esso ne è avvolto. E’ espressione esso stesso di una sofferenza psichica spesso negata. Il linguaggio è mettere in parole il pensiero, pensare il mondo, pensare il mondo reale e renderlo vero, rappresentarlo significandolo, pensare sentendo il senso profondo del vivere.

E’ necessario uno spazio interno per pensare il proprio mondo, per legarsi ad esso e comprenderlo. I pensieri più penosi sono rimossi, collocati, contenuti in un ambito psichico inconscio. Se il dolore che portano è troppo forte si trasformano in sintomo: un compromesso tra Io ed Inconscio, l’Io si irrigidisce nella negazione dei significati più profondi. Nel pensiero di W.Bion e di T.Ogden occorrono due menti per pensare i pensieri più disturbanti dell’individuo. Le due menti possono essere anche due parti della personalità: il “sognatore che sogna il sogno”e il “sognatore che comprende il sogno”, ad esempio. Quando la capacità di pensiero delle parti della personalità in conversazione l’una con l’altra si rivela inadeguata al compito di pensare l’esperienza disturbante nell’individuo, le menti di due persone separate sono necessarie per pensare i pensieri impensabili dell’individuo che, con W.Bion chiameremo beta, sono sensazioni emotive grezze, non elaborate. Attraverso l’interpretazione l’analista collega il sintomo, ad esempio, con un pensiero- vissuto inconscio del paziente, lo significa, lo rende quindi più digeribile, più accettabile quindi più pensabile, gli conferisce una forma alfa che il paziente può tollerare e lo restituisce. Le paure diventano così trattabili dalla personalità del paziente. Questi dunque non solo si riappropria di un proprio pensiero, ma anche della parte emozionale ad esso legata, di una parte di sé e della capacità di pensare il mondo realisticamente, cioè nella sua complessità. Se dunque il lutto originario è stato elaborato attraverso cure materne i successivi movimenti separativi saranno piccoli lutti ma anche piccole nascite, se al contrario il lutto originario non è stato elaborato attraverso l’ambiente, l’Io non riesce, il lutto viene negato, scisso ed espulso dalla coscienza. Attraverso il lavoro psicoterapeutico il lutto illuttoso (non fatto) torna ad essere sentimento. Il transfert permette al paziente di sentire l’analista come madre-ambiente, facendo contatto e giungendo a poter ascoltare quella parte della sua psiche per la quale il senso della vita era essere-con-l’altro; ma è anche madre-oggetto su cui rivivere, proiettandoli, i conflitti originari. L’aspetto di sostegno come madre-ambiente permette al paziente di affidarsi in un’esplorazione dei propri vissuti profondi. Nel percorso analitico, nelle libere associazioni, nell’analisi dei sogni, l’atmosfera permette di accedere ad un pensiero sognante, un pensiero che può rinunciare alla difesa dell’irrigidirsi della razionalità, per aprirsi naturalmente ad un ascolto dei vissuti interiori. Possiamo dire che si può sviluppare quindi un pensiero di reverie, nel paziente, laddove nell’analista tale dimensione interna sia sempre accessibile. Reverie è una coscienza in penombra, una coscienza fluttuante, un po’ sospesa, che permette al pensiero razionale di riposare e apre lo spazio interno al pensiero sognante, pensiero intuitivo o divergente, più adatto a cogliere i legami inconsci tra i vissuti. In questa dimensione le parole dell’analisi sono parole sommerse-sommesse che il paziente ritrova in sé come un dono che la sua stessa vita gli offre. Il lavoro analitico di graduale ricostruzione del tessuto emotivo e di condivisione del dolore psichico si basa sulla convinzione che il pensiero maturo è generato in risposta alle nostre più arcaiche paure. Noi apprendiamo su noi stessi dalle paure primitive e pensiamo su quelle paure. Ma il fine dell’analisi è dunque lo svelamento della vera forza dell’Io, catturata dall’angoscia e tornare quindi, con G. Bachelard, ad acquisire il “diritto di sognare”.

 

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Nome spettacolo
  1. avatar Dott.ssa Maria Rita Ferrisays:

    Psicoterapeuta Psicoanalitico
    Formazione Psicoanalitica post Lauream
    “Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”