…Se la struttura narrativa di un mito familiare si estende nell’ambito dell’immaginario di più generazioni successive, si può affermare, con E.Scabini e C.Regalia, che il benessere familiare costituisce l’esito di uno scambio appassionato sul registro della speranza e della giustizia tra le generazioni, che si rende comprensibile in particolar modo nei momenti di transizione e di passaggio. In tali frangenti, quanto più il discorso familiare transgenerazionale avrà integrato gli aspetti di appartenenza e individuazione nel legame, tanto più sarà in grado di superare il dolore e contemplare il volo psichico dedito alle trasformazioni (E.Scabini, C.Regalia, “Alla radice dell’identità familiare”, Famiglia oggi, Roma, Anno XXIII, n.4, aprile 2000). L’analisi trigenerazionale del familiare implica, secondo il pensiero di M.Rossi, l’avvertire che i membri più anziani hanno in comune con le ultime generazioni una storia la cui particolarità è quella di riproporre periodicamente agli individui alcuni “nodi da sciogliere” che si collegano alle modalità con cui vengono fronteggiate le avventure esistenziali legate alla nascita, alla perdita, al passaggio delle stagioni (M.Rossi, cit.). Quando nella psiche dei genitori gli annunci separativi, ad esempio, nel desiderio di un figlio che sogna una nuova nascita nel mondo, vengono vissuti come creazione di un vuoto incolmabile, essi saranno temuti, respinti o negati psicologicamente. Il vuoto depressivo percepito nel distacco dal figlio evoca, nel genitore, antichi lutti non elaborati nelle esperienze originarie di separazione dagli oggetti primari, riattualizza ferite psichiche non mentalizzate che non hanno incontrato la parola che le conchiudesse e le affidasse ad un passato che libera il presente da ogni ombra. L’angoscia di separazione, in questo caso, si proietta su un cielo mitologico divenendo vissuto di perdita incolmabile. Ciò rimanda alla costruzione di una “verità” mitologica di unità inscindibile del familiare, che richiede silenziosamente ai membri lealtà nella difesa da ogni possibile movimento emancipativo, vissuto collettivamente come lacerante il corpo familiare. L’evento evoca infatti il fantasma familiare che alloggia nell’area dei legami e che include le fantasie inconsce formatesi nell’arco di più generazioni. Esse si trasmettono nell’interiorità del mondo familiare: il mito parla di tali fantasie e delle difese inconsce connesse alla spinta trasformativa (M.R.Ferri, Dispense di Psicologia Sociale della famiglia, cit.). Il complesso mitico rappresenta, quindi, la terra delle significazioni e la trama narrativa, sognata dal Sé familiare, che offre leggende d’unione ogni qual volta l’identità gruppale venga minacciata; “…i miti”, scrive M.Eliade, “in genere, per il solo fatto di enunciare quel che avvenne in illo tempore, sono essi stessi una storia esemplare del gruppo umano che li ha conservati e del Cosmo di quel gruppo” (M.Eliade, Traité d’histoire des religions, Payot-Parigi, 1948; trad.it. Trattato di storia delle religioni, nuova ed. a cura di P.Angelici, Torino, Bollati Boringhieri, 1976, p.393). L’autore evidenzia inoltre come: “Ogni idea di «rinnovamento», di «ricominciamento», di «restaurazione», per quanto si suppongano diversi i piani su cui si manifesta, sia riducibile alla nozione di «nascita», e questa, a sua volta, alla nozione di «creazione cosmica»;…ogni ritorno della primavera riattualizza la cosmogonia” (Ivi, p.374). La funzione mitopoietica del gruppo familiare fa dunque ricorso, di fronte al mutamento dei tempi, allo slancio trasformativo che pervade l’apparato psichico gruppale; quest’ultimo genera e modifica alcuni “pre-requisiti mitici” per fronteggiare i mutamenti e le crisi e offrire stabilità al legame amoroso (E.Granjon, “Mitopoiesi e sofferenza familiare”, cit.). La dimensione prescrittiva del mito familiare diviene duttile ed elaborabile (laddove contrasti con la ricerca di nuovi scenari familiari) nel tepore della coscienza. Il corpo familiare può infatti contenere il dolore psichico nascente dall’inevitabile mutamento della forma dei legami e lenire, dunque, i sentimenti luttuosi, allorché possieda braccia psichiche dove vive la condivisione dell’“esser-ci” che si rivela nel discorso familiare. La psiche familiare, per essere flessibile e plasmabile, necessita dell’esistenza di aree affettive dedite all’incontro, all’interno delle quali scorra il desiderio, la percezione dell’alterità e il dialogo con essa, in cui trovino rifugio le immagini amate dell’oggetto disgiunto, uno spazio interno per rimirarle e una dinamica che le restituisca al giorno. Tali spazi intersoggettivi offrono un varco alle transazioni e agli investimenti d’oggetto, offrono plasticità alle forme che assume il pensiero e respiro all’insieme delle immagini che abitano la vita onirica, tracciano cieli per il ricordo nella psiche individuale. La presenza di funzioni psichiche transizionali dona freschezza al racconto condiviso, fa del Sé familiare un nido psichico che, accogliendo le immagini notturne che agitano l’anima gruppale, permette la mentalizzazione del “fantasma familiare”, allontanando ogni negazione come difesa dall’angoscia del cambiamento.
I movimenti evolutivi, in tal caso, si accompagnano a fantasmi di rottura che rinviano a vissuti di abbandono e di perdita non elaborati e ogni accenno di distacco o di separazione evoca non una trasformazione evolutiva dei legami affettivi, ma una minaccia di disgregazione dell’unicum familiare. E.Granjon riconduce agli eventi trasformativi e all’intensità emotiva che ne consegue la possibile genesi di miti difensivi, ossia di forme immaginali rigide che la famiglia dal Sé fragilmente differenziato crea allo scopo di preservarsi dall’incursione fantasmatica di elementi vissuti come distruttivi e di rottura. Tali miti “contenitori del negativo” si impongono e si trasmettono immutati, garantendo la continuità del familiare ma non la rielaborazione. Essi “ostacolano ed eventualmente inibiscono la funzione trasformativa del pensiero” (AA.VV., “Mito e diversità”, Interazioni, n.1, “001, pp.69-76) e dunque il processo che vede i legami assumere nuove conformazioni psichiche. Le regole di condotta che dettano non consentono una loro rilettura critica da parte dei soggetti, poiché trasgredirle equivarrebbe a minacciare la coesione del gruppo. L’autrice riconduce tali produzioni immaginarie alle modalità transgenerazionali di trasmissione psichica. Ella scrive: “…talvolta alcuni lutti sono resi impossibili, alcuni eventi del passato non hanno potuto, o non possono essere pensati, la funzione di memoria è messa in scacco e l’oblio non può costruirsi. I contenitori del pensiero che i miti rappresentano sono inaccessibili, distrutti o inadeguati. Le tracce, i resti di un passato traumatico che compromettono le psiche individuali e l’ancoraggio mitico fondatore, si impongono agli eredi” (E.Granjon, cit.). Il gruppo familiare accoglie quindi la trasmissione psichica di ciò che l’autrice definisce una sorta di “buco mitico” che non può essere né dissolto né trasformato. Il Sé familiare viene così inondato da elementi destrutturanti, dai quali cerca riparo attraverso l’edificazione di contenitori immaginali difensivi che, impoveriti di spirito vitale, non rimandano ad alcun sensoaltro e non ammettono alcun mutamento, giungendo fino alla realizzazione di un “sistema ideologico” (Ivi). L’ostacolo che il Sé familiare incontra risiede dunque nella inelaborabilità della stessa storia familiare e nell’impossibilità di far contatto con il passato, se non tramite un pensiero operatorio, o bianco, che replica gli eventi senza rivelarne il fantasma, poiché ciò equivarrebbe a svelare eventi dal carattere perturbante. Si erige così una facciata esterna, una rappresentazione fantasmatica del corpo familiare che tende a celare aspetti di cui non è lecita la parola. Si originano, quindi, quelli che H.Stierlin definisce miti
familiari atti a negare l’effettualità di relazioni che coinvolgono, o coinvolsero nel passato, i vari membri. Il mito, secondo l’autore, assolve due funzioni fondamentali: quella di difesa e quella di protezione. La prima si attua quando la leggenda modifica la realtà delle relazioni, ossia quando, per evitare dolore o conflitti, nega o razionalizza il male che ha attraversato gli affetti. La funzione di protezione si rivolge, invece, al vissuto persecutorio del mondo (H.Stierlin, cit.). La morfologia del mito si sostanzia di storie dal disegno minuto, di convinzioni esplicite o della vaghezza ideativa cui si assegnano inconsciamente valenze dogmatiche. L’autore distingue inoltre tre “tipologie mitiche” che si differenziano per il loro contenuto e per l’intenzione difensiva che in essi si cela. Esistono dunque miti di armonia, miti di scusa e riparazione e miti di salvezza.
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Psicoterapeuta Psicoanalitico
Formazione Psicoanalitica post Lauream
“Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”