Adele H: psicoanalisi della melanconia

Nei disegni che fanno da sfondo alla presentazione del film è presente un castello diroccato: esso già ci parla di qualcosa di grande e prezioso che si è infranto e rimanda a ciò che si profila nell’anima di Adele. La simbologia del castello rimanda ad un cosmo isolato e alle immagini della protezione attraverso l’irrigidimento delle strutture psichiche ed un innalzarsi dell’Io dalla terra. Esso rimanda inoltre ad un’idea di pericolo, di attacco, cui l’unica risposta è la chiusura.

Adele, infatti, trova riparo dal pericolo di precipitare nell’ombra malinconica in un’idea ascensionale amorosa che diviene sempre più slegata dal reale e che si erge e la rinchiude, proteggendola. Il castello inoltre evoca un immaginario amoroso e d’avventura, slancio onirico in cui vive Adele per tutta la prima parte del film: “Quella cosa incredibile da farsi per una donna, di camminare sul mare, passare dal vecchio al nuovo mondo per raggiungere il proprio amato, quella cosa, io la farò”dice Adele a se stessa. Nelle ultime immagini il castello onirico si è spezzato: l’infrangersi della sua capacità di proteggerla e di donare realtà al desiderio. La caduta malinconica, prima rinchiusa nelle notti d’angoscia, ora dirompe nel giorno, e Adele, creatura della poetica dell’annientamento, perdendo il suo desiderio, perde se stessa. Lo spezzarsi dell’anima di A., allontanandosi dalla realtà, si riflette nel racconto che sembra spezzarsi anch’esso in due parti nel brusco passaggio di luminosità: nella prima parte la penombra è protagonista delle scene, penombra della coscienza, nella seconda si diffonde una luce nera, senz’anima. La prima parte del racconto, infatti, si descrive nella dialettica del chiaro-scuro, specchio della dialettica interna alla psiche di Adele. Le lampade sono punti luminosi in un’eterna notte psichica, che non diffondono luce, non interrompono cioè il buio della depressione malinconica. Ma l’ombra dà volume, indica l’Io che trova consistenza attraverso un sogno d’amore. Il viso che si illumina su un corpo al buio simboleggia la psiche di Adele che ancora si oppone con la sua narrazione fabulatoria a un dolore che la può sommergere come le acque in cui lotta ogni notte. Adele si muove in una dinamica stringente tra l’ossessione interna del pensiero d’amore e l’oggetto ideale esterno, Pince. Tale dinamica diurna è movimento vorticoso che di notte prende la forma di vertigine d’acqua, caduta malinconica che cattura ed uccide. Sussurra G. Bachelard: “Per alcune anime l’acqua è la materia della disperazione”. L’acqua, cosmo della notte che travolge Adele, è anche simbolo di un desiderio di riunificazione con l’oggetto primario, in cui l’Io regressivamente si inabissa. Il suo Io è peraltro simbolicamente rappresentato dallo specchio in cui appare il volto di Adele che non guarda se stessa: coscienza che non rispecchia, che non riflette, perduta nell’Altro idealizzato, Pince. Quasi impossessata dal suo ritratto allo specchio, che replica l’immagine del ritratto della sorella, Adele è anche Leopoldine. L’eopoldine, peraltro, rappresenta il suo doppio ideale in cui immergersi per ottenerne la luminosità e divenire oggetto d’amore, immagine lunare che sorge dalle acque oniriche e a cui Adele dona la vita, la propria identità, per poter nascere amata e non morire più di dolore: lei infatti ha i suoi gioielli. I gioielli sono tesoro delle acque, simbolo dell’immortalità. La morte di Léopoldine , cadendo nell’acqua, diviene la morte di Adele, che ogni notte si rinnova. Per i sognatori di acque marine, i fondali sono sempre vivi, abitati da velieri e tesori dove si muove un mondo marino che vive in penombra. Il punto in cui l’acqua dà la morte è dunque sempre acqua di lago, capovolgimento di un cielo morto, cielo liquido in cui il sole è negato. Come Leopoldine morì nelle acque, così Adele può morire ogni giorno, cadendo nella melanconia che la segue e che diviene vortice nei sogni. E’ il delirio diurno che non la fa cadere nelle acque melanconiche: ad ogni rifiuto di Pince segue infatti l’intensificarsi della tabulazione amorosa, come un elevamento immaginario della psiche dalla terra che contrasti la caduta melanconica dell’anima. Nella scena in cui strappa un bacio a Pince, sullo sfondo delle tombe, sono presenti diverse simbologie: sono infatti presenti nell’immagine del cimitero la malinconia che avvolge l’Io , come luogo psichico degli oggetti morti e perduti ed il bacio rappresenta la non elaborazione del lutto, ma la sua negazione delirante. La scena inoltre rimanda al significato di un antico amore morto che lei vuol far tornare in vita con un bacio non donato. Attraverso il bacio Adele nega la morte dell’oggetto primario, vuole non morire assieme a lui.

La fabulazione ormai delirante trova un argine, una riva nel diario, che le offre forma di realtà. L’ anima di Adele è sospesa nello scrivere, la sua angoscia di annientamento trova contenimento nel foglio. Attraverso lo scrivere Adele riannoda i legami spezzati tra desiderio e realtà che rispecchiano il legame perduto con l’Altro, ma attraverso lo stesso scrivere spezza il legame con la realtà che sostituisce con un immaginario onirico. Adele scrive una neorealtà che si pone al posto di quella dolente. Dà vita ai suoi oggetti interni, tenta di comporre follia e realtà. Il pensiero vorticoso trova dunque riparo nello scrivere copioso e diviene movimento nel mondo. La protagonista, infatti, è ritratta in un incessante danza circolare come un vortice, contenuta, nella prima parte del film, da alcuni punti di riferimento: l’ufficio postale, la libreria-biblioteca, la famiglia che l’accoglie e il suo giaciglio, e l’oggetto amato. Adele quindi si muove quasi in un cerchio, che si avvolge intorno ad un punto luminoso (l’oggetto amato e ideale), sospinta dalla speranza di congiunzione tra realtà e desiderio, fino alla caduta dei sogni e allo schianto psichico. Nelle ultime scene il movimento, nelle strade- labirinto delle Barbados, non ha più cornice e non è più, quindi, contenuto, è movimento senza orbita, senza meta, diviene un extra-vagare, e lei un oggetto extravagante, rapita da un universo parallelo che ha catturato il suo Io. Movimento senza origine ne’ meta, negazione della sosta, dell’immobilità dell’anima, gettata nell’oceano melanconico dal rigetto della realtà. Adele si identifica infine con l’oggetto, come è evidente nello scambio di ruoli finale, in cui P.la cerca e lei, rapita in un’assenza di sogni,non può vederlo,né sostare . Il movimento del corpo è espressione drammatizzata della mente errante di Adele, che diviene così creatura della poetica dell’annientamento. L’amore non ricambiato, nel soggetto melanconico, produce la percezione dell’onnipotenza dell’oggetto amato e rifiutante e, di contro, l’inconsistenza dell’immagine di sé, come sempre più chiaro nelle scene finali del film. Ma la perdita dell’illusione di essere amata, o di un’intenzione desiderante nell’Altro, fa sentire alla protagonista, inconsciamente, l’Altro come non più in vita. Anche per questo Adele non lo riconosce più, quando lo incontra nel suo errare, mentre insegue orizzonti di un altro tempo: la perdita dell’amore dell’Altro fa sentire di essere non più vivi e di essere in presenza di un-altro morto. Ciò ha origine nel modo in cui l’Io percepisce sin dall’inizio la vita. Infatti, alle origini, il bambino sente di esistere solo “…se è fatto oggetto di affetto da parte dell’Altro”(L. Russo). Il desiderio affettivo della madre fa sentire al piccolo di essere accanto ad un oggetto vivo e vivificante, esso infatti accende il desiderio del bambino e la sensazione di essere vivo nel mondo, ed il legarsi alle cose del mondo con un proprio universo desiderante. L’impossibilità per la madre di mantenere o costituire il proprio desiderio per il bambino, perché la sua mente è attraversata, ad esempio, da lutti fin lì non elaborati o non elaborabili, fa percepire al bambino la presenza di “una madre morta” (A. Green). Inconsciamente ciò corrisponde ad una improvvisa scomparsa della madre, lasciando il bambino con un desiderio-domanda (J.Lacan) che perde il suo senso perchè non la può più poggiare su alcuno, poichè a nessuno egli appartenne. E poiché per la sua immaturità, il piccolo Io non potè né identificare e rappresentare psichicamente tale perdita d’essere, nella vita adulta torna a vivere, nel rifiuto d’amore, la prima perdita dell’oggetto e di sé, e lo sprofondare nel cielo melanconico si profila come un suo disperato modo di dare la propria vita all’oggetto. L’Io si scioglie nella morte dell’oggetto. La psicoanalisi della fase dello specchio fa risalire, nell’approfondimento M. C. Lambotte, le condizioni che possono generare lo stato melanconico, nell’impossibilità nello sguardo della madre, di riflettere l’immagine del bambino, come se i suoi occhi fossero rapiti, dall’interno, da un orizzonte infinitamente perduto, da un dolore antico e muto: lutto bianco, non elaborato e quindi lacunare. Se è vero che il bambino vede negli occhi della madre se stesso, con D.D. Winnicott, in questo caso egli, per essere, non può che rincorrere, per tutta la vita, uno sguardo che non si compì, un desiderio che, appena accennato e che aveva in lui pur acceso il sentimento di essere vivo, improvvisamente scomparve in un lontano altrove. La perdita d’amore, in età adulta, inserisce il soggetto melanconico “…in un processo di lutto primario: quello della perdita precocissima dello sguardo materno che fonda il soggetto nell’esistere e tesse il legame.” ( M.C. Lambotte). C’è un primo lutto, dunque, rivissuto interamente da Adele, nella perdita senza fine dell’illusione di riunirsi alla madre arcaica e al suo sguardo, attraverso Pince. L’oggetto dell’amore adulto, nel melanconico, rappresenta inconsciamente un aspetto ideale di sé mai raggiunto, tutto ciò che manca al suo essere, un ideale di perfezione che avrebbe potuto rapire lo sguardo della madre e permettere il riconoscimento che, solo, permette di essere vivi. Perdere Pince, il suo amore, vuol dire per Adele, dunque, perdere la possibilità di congiungersi all’ “oggetto perfetto” ed essere, grazie ad esso, inscritto nello sguardo della Madre e quindi essere viva. La possibile elaborazione di tale perdita, (non suggerita nel film, ma sempre possibile), potrebbe rendere vero, anche per Adele, ciò che P. Neruda afferma essere: “…l’amore estinto non è la morte, ma un’amara forma di nascere…” .

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  1. avatar Dott.ssa Maria Rita Ferrisays:

    Psicoterapeuta Psicoanalitico
    Formazione Psicoanalitica post Lauream
    “Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”