Il concetto di acting-out permette di comprendere alcune dinamiche del discorso familiare. Il suo significato originale fa riferimento al setting psicoanalitico, ma in senso più ampio indica la traduzione in termini di interazione (relazione con l’esterno, fuori del Sé) di contenuti che appartengono al mondo interno: si ipotizza quindi una interazione interna, una relazione tra oggetti interni, che l’Io non riesce a contenere e dotare di significato. Le pulsioni, quindi, che si presentano nel mondo interno nella forma di fantasmi, ovvero di oggetti interni, a volte collidono senza poter essere mentalizzate (trasposte a livello di pensiero): il soggetto non è cosciente della conseguente espressione all’esterno, in agiti, di conflitti interni inconsci. Ciò che non può essere pensato non può inoltre essere comunicato entro il Sé quando manchi la capacità di simbolizzare (è il simbolo, infatti, che permette ogni comunicazione). La mente funziona attraverso i simboli. Essi si costruiscono attraverso il trasferimento delle emozioni dagli oggetti primari (il proprio corpo, la madre) ad altri oggetti. Tale trasposizione permette il pensiero. Il simbolo infatti permette la rappresentazione a livello mentale della cosa: la mente trasferisce gli atteggiamenti e le emozioni ad altri oggetti che rappresentano gli oggetti primari, che ne diventano così i simboli. Il pensiero, per svilupparsi, ha bisogno di sviluppare tale capacità di simbolizzazione, poiché il suo funzionamento richiede un basso livello di angoscia. Attraverso la formazione dei simboli le emozioni e le angosce originarie sono attenuate e la mente può quindi orientarsi, digerire, ordinare i dati e immaginare. Quest’ultima operazione mentale è particolarmente importante anche perché attraverso il rappresentare diverse situazioni si riesce ad ottenere una sofferenza attenuata rispetto al viverle direttamente: se la sofferenza non è attenuata il pensiero è come paralizzato, la capacità di mentalizzare mortificata ed alcuni elementi grezzi del mondo interno, non elaborabili, esiteranno in acting. Nei livelli di minore differenziazione del Sé, quindi, la capacità di simbolizzare, di pensare (cogliere i nessi tra gli oggetti e tra le relazioni tra gli oggetti) risulta parziale; di conseguenza la possibilità di comunicazione e di comprensione non si sviluppa a livelli profondi, gran parte del sentire non trova accesso ad un livello di mentalizzazione ed è trasposto nell’agire, nell’actingout. La modalità di pensiero che sostiene l’acting è di tipo primario. Ogni processo di pensiero ha origine da un affetto. Per Freud l’atto del pensare nasce dallo spazio che intercorre tra il percepire il disagio ed il momento del soddisfacimento del bisogno. Il pensiero va a colmare tale vuoto. L’attività mentale può dar vita a un processo primario o secondario, basati corrispettivamente sul principio del piacere o sul principio di realtà. Inizialmente l’apparato mentale funziona in base al principio del piacere: lo scopo dell’attività psichica confluisce nel ricercare esperienze che procurino piacere ed evitare esperienze che procurino dispiacere. Tale funzionamento arcaico rimane presente anche in fasi successive dell’evoluzione psichica. Il principio del piacere è legato all’alimentazione e questa è legata alla vita, alla certezza di sopravvivenza. Dunque il principio del piacere lega il soggetto alla vita e alla morte. In situazioni di pericolo è tale livello mentale che spesso entra in funzione: per il bambino il mondo è diviso in cose piacevoli da attirare a sé e cose spiacevoli da eliminare, allontanare. Il pensiero primario è un pensiero di sopravvivenza, di mantenersi in vita, che si collega ad un sentimento profondo di essere in pericolo. L’operatore che entra in una relazione educativa con l’utente (che vive in una dimensione in gran parte primaria di pensiero) se si sintonizzerà sul vissuto di pericolo potrà sviluppare un rapporto empatico profondo capace di contenere le angosce dell’Altro e trasformarle in pensiero. Egli permetterà cioè all’Altro di accedere alla secondarizzazione del pensiero, cioè accogliere nella psiche porzioni sempre più ampie di realtà. Nelle prime fasi di vita si sviluppa la capacità di attendere l’oggetto, il suo nutrimento e le cure, attraverso il rifugio nel sonno e quindi nel sognare il seno che soddisfa nell’immagine onirica il bisogno. Quindi la psiche del bambino rifugge il dispiacere e sviluppa così un protopensiero, una prima capacità di pensare in assenza, come tentativo di soddisfare in sé il proprio bisogno: la capacità di fantasticare è la capacità di pensare creativamente una soluzione al proprio interno, che contenga il dolore e dia speranza di vita. La madre, attraverso le sue cure, permette al piccolo Io del bambino di rafforzarsi e, nella certezza di ricongiungersi all’oggetto, di tollerare l’attesa e differire il bisogno. Ciò permette l’instaurarsi, nella psiche del bambino, del principio di realtà, una possibilità di entrare in rapporto con la realtà, pensarla e quindi adattarsi, laddove adattarsi significa non sottoporsi soltanto alla realtà ma anche cambiarla in funzione dei propri bisogni. Percepire l’esistenza di una realtà esterna delinea un confine tra questa ed il mondo interno, definisce i confini del Sé delineandone il limite. Ciò genera una diminuzione dell’onnipotenza originaria insita nel principio del piacere e sviluppa un sentimento di consistenza dell’Io e di identità. Nel principio del piacere la psiche del bambino genera il mondo: egli associ a il seno ad una sua creazione: è lui che crea la madre e la fa giungere. Questo senso di onnipotenza nasce da un sentimento di impotenza totale. Quando la mente è prigioniera del principio del piacere funzionerà secondo modalità arcaiche che scindono gli oggetti in buoni e cattivi, ovvero l’oggetto sarà buono o cattivo a seconda che produrrà piacere o dispiacere, se sarà vicino o lontano.
Le relazioni, in una struttura familiare a bassa differenziazione, saranno basate sul principio del piacere, sui sistemi dell’emozione piuttosto che dell’affettività, perché il tipo di funzionamento mentale che le sottende è fondato sul bisogno e non sul desiderio. La relazione quindi è basata sulla vicinanza e sul bisogno. Fra bisogno e desiderio esiste una grande differenza: la parola desiderio proviene etimologicamente da sidus-sideris, stella. Ogni desiderio è nostalgia di cieli stellati che nell’immagine dell’oggetto amato si riflettono, è un mondo che nasce in un mondo più grande, che lo accoglie al di là di ogni necessità. Il sentimento d’amore per 1’oggetto esclude il bisogno e può alloggiare solo in un Sé ben differenziato: un livello di individuazione parzialmente raggiunta permette relazioni basate unicamente sul bisogno di ricevere amore, sulla richiesta perenne di nutrimento psicologico, sull’incastro dei mondi interni in un unicuum fusionale. L’assenza dell’oggetto diviene quindi vuoto incolmabile, un’assenza del Sé, un’assenza di vita. Il processo primario di pensiero è legato, come difesa originaria, a profonde angosce esistenziali (legate all’immaginario della nascita, morte, separazione, perdita ecc.) che emergono nelle relazioni d’amore e che possono essere elaborate, lenite, superate, trasformate attraverso l’incontro con l’Altro o, al contrario, possono essere confermate e accentuate. Secondo queste due linee l’incontro d’amore può diventare disperante o terapeutico: poichè va a sollecitare un’area profonda del Sé ed offre la dimensione interiore di ineffabili risposte. E’ quindi nell’attesa che si genera la relazione d’amore, così come la poesia Nell’assenza dell’oggetto il Sé individuato costruisce ponti interiori di desiderio, lo rende vicino nell’attesa,prepara il cuore al ricongiungimento con parti non familiari dell’Altro. Ciò permette di percepire bontà e integrità dell’oggetto, di creare infinite reveries dell’incontro. L’incontro realizzato ò cullato dalle reveries dell’attesa, si collocherà nel mondo interno esattamente nel posto in cui era stato immaginato prima del suo giungere. II ricongiungersi fra immagine-sogno interna e realtà esterna sviluppa sicurezza nel Sé e fiducia nell’oggetto. La formazione della coppia inaugura l’inizio di nuove generazioni, all’interno del ciclo vitale della famiglia che si sviluppa per fasi:
1. formazione della coppia;
2. gravidanza;
3. famiglia con bambini piccoli;
4. adolescenza;
5. famiglia con giovane adulto;
6. nuova coppia: nasce una nuova famiglia.
Una famiglia genera una nuova famiglia attraverso il ciclo delle appartenenze e delle differenziazioni. La coppia, come prima fase, rappresenta l’ambiente psicologico adatto per rivivere le relazioni d’amore primarie, cioè per far riemergere i vissuti relazionali con gli antichi oggetti d’amore. Gli oggetti primari sono suscettibili di introiezione e quindi di riproiezione. Ad esempio: un atteggiamento fiducioso nella vita, ottimista, indica l’esistenza nel mondo interno del soggetto la prevalenza di buone relazioni con i primi oggetti d’amore percepiti come soddisfacenti, gratificanti, rivela una introiezione senza gravi scissioni degli aspetti non soddisfacenti o cattivi. Grazie a tali condizioni i buoni oggetti possono essere nuovamente proiettati nel mondo: ciò permette al soggetto di sperimentare l’ambiente come abitato da presenze buone, nasce la fiducia nell’ambiente. Al contrario, nuove relazioni d’oggetto gratificanti e vivificanti possono modificare il vissuto interno di deprivazione derivante da antiche relazioni danneggiate, poichè si situeranno sulla sagoma interiorizzata delle stesse: la vita degli oggetti interni è un fluire vitale che nelle relazioni amorose in senso ampio produce vita, ripara ferite narcisistiche e produce speranza.
Psicoterapeuta Psicoanalitico
Formazione Psicoanalitica post Lauream
“Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”