I volti del mito familiare I

Nel mistero del familiare si origina una mappa relazionale onirica che descrive la natura dei rapporti intersoggettivi e dunque disegna la sintassi dei ruoli e delle funzioni che accolgono le soggettività, ponendole in relazione. È nel centro emozionale del suo Sé che il familiare sogna le forme che assume nel suo svolgersi. Lo sguardo con cui il soggetto rimira sé nasce, fra l’altro, nei luoghi dell’intersoggettività primaria, dalle immagini emergenti del desiderio dell’Altro, ambito in cui si definisce e sboccia l’identità psichica dell’individuo. Il ruolo in cui la famiglia sogna il soggetto appartiene a diversi mondi significanti: in esso è l’accordo strutturale della famiglia e l’immaginario mitologico. Il “ruolo di struttura”, che ha valore sintattico, parla della collocazione generazionale del soggetto, il suo vissuto e stile nell’appartenere all’anima intersoggettiva. Il “ruolo nella struttura”, che ha valore semantico ed emerge dai costrutti mitici, descrive invece i tratti riferibili al soggetto, dalla mente gruppale, nello spazio di relazione (“figlio ribelle”, “padre devoto”…), divenendo, nel suo mondo interno, lo sguardo che la famiglia psichica diffonde su di lui (M.R.Ferri, Dispense di Psicologia Sociale della Famiglia, cit.). La psiche del soggetto diviene, quindi, luogo delle proiezioni inconsce del familiare, che affondano radici nel mito, fino a disegnare l’immagine di sé che egli porterà nel cuore, in un possibile scambio confusivo con la sua vera identità. La posizione assunta nella relazione parla delle immagini antiche che il familiare sollecita nel soggetto, come colui che riceve il dono del legame e le vesti che definiscono l’apparire inaugurale della sua soggettività nella relazione, in una trama transgenerazionale inconscia che precede ogni scelta soggettiva. Nel patto narcisistico tra il soggetto ed il gruppo familiare, che annuncia la certezza del “Noi” e dà vita al buon oggetto ideale condiviso (l’immagine della famiglia come buon seno in cui la fantasia inconscia della coincidenza tra desiderio e realtà è base di ogni sogno di appartenenza), è implicita la rinuncia di una parte di soggettività, per confluire in un unicum che lega la vita di ognuno al cosmo familiare. A tale rinuncia corrisponde l’inscrizione della soggettività nel mito e l’assunzione su di essa delle immagini che il discorso inconscio transgenerazionale ha intessuto per la psiche
individuale, affinché vi si conformi. Un frammento del mito si proietta dal cielo familiare nella psiche dell’individuo, indicandone il destino. Tale proiezione trova alimento nel bisogno esistenziale del soggetto
di connettersi ad un oggetto cosmico che lo comprenda, che assicuri le appartenenze sognate e vitali, che lo sottragga all’abisso generato nelle separazioni inaugurali dall’oggetto primario. L’adesione al patto narcisistico, dunque, soprattutto se non armonizzata con i successivi movimenti psichici d’individuazione, può determinare, nella psiche del soggetto, la nascita di un mito personale, riverbero dell’immagine che il familiare ha posto su di lui, ossia di un ritratto onirico di sé che lo raffigura con un particolare profilo psichico. Il mito familiare, quindi, non promuove esclusivamente la specificità del disegno intersoggettivo del familiare, ma anche aspetti del mondo psichico di ogni individuo che ne faccia parte. L’immagine di sé che ogni individuo incontra nel rimirarsi interiore è, infatti, speculare all’immagine che di lui è data nel mito familiare. La trama mitica offre al soggetto un immaginario coerente di sé, concerta la sua biografia, le sue nascite e il ruolo all’interno del familiare (L.Onnis, Miti e fantasmi nelle famiglie psicosomatiche, cit.). Il mito personale rinvia dunque all’immagine salda che il soggetto conosce di se stesso, ma anche ai modi in cui il soggetto tende ad interpretare eventi od oggetti con cui si pone in contatto. L’immagine mitica di sé narra nella psiche le rêveries immutabili dell’infanzia, è proiezione di sé in relazioni immaginarie. Il mito individuale si riunisce a un tutto mitologico in cui dialoga con altre singolarità. Esso sarà sempre connesso ad altri miti individuali e in rapporto ad un ordine culturale sovrastante articolato dal mito familiare (M.Rossi, cit.). Secondo M.Andolfi e C.Angelo, in psicologia relazionale, che si avvalgono della definizione di mito quale entità volta ad esprimere l’ineffabile, l’infanzia creatrice di simboli e mondi transizionali sta già edificando i suoi “miti”, che rappresentano, peraltro, l’esito dello scambio psichico con altri miti che abitano il familiare. La fioritura di tali miti si realizza in un vasto arco di tempo in cui, secondo la nostra riflessione, lo sguardo del familiare pone immagini nel cuore del soggetto che via via, celando il desiderio e l’essere, si intrecciano al sentimento dell’appartenenza. Secondo M.Andolfi e C.Angelo, mito individuale e mito familiare seguono lo stesso disegno e sono tra loro così intimamente collegati che appare difficile decretare quale dei due abbia originato l’altro. In ogni caso, sottolineano gli autori, il mito familiare, originato nell’intreccio dei miti personali, tende a conservarsi intatto grazie al tacito consenso di ognuno. Per tali motivi mito individuale e mito familiare sono strettamente interconnessi ed evolvono parallelamente (M. Andolfi, C.Angelo, Tempo e mito nella psicoterapia familiare, cit.).

A nostro avviso è il pensiero psicoanalitico che offre spessore alla comprensione più profonda del regno del legame tra i due registri. Il mito familiare dischiude nella psiche individuale il sentimento dell’ appartenenza, terra dove la differenziazione psichica ha vita. Ogni individuo stabilisce, quindi, l’unicità del suo esistere sviluppando la propria identità lungo un percorso di progressive integrazioni di parti interne e di individuazione psichica. Attraverso i processi di impasto pulsionale e di regolazione dell’ambivalenza, gli investimenti narcisistici si ricondurranno ad investimenti d’amore oggettuale, segnale di raggiunti livelli di differenziazione del Sé, dell’impiantarsi di una più articolata vita psichica, nella percezione di separatezza dall’oggetto e della diminuzione delle angosce persecutorie. Tale processo maturativo dell’identità individuale nasce da un’appartenenza psichica primaria all’identità familiare che dia vita al sentimento di essere congiunti al sogno amoroso che fonda il familiare, di provenire da un gruppo stellare, nel senso di percepire le proprie origini in un desiderio sussurrato nella psiche gruppale delle generazioni che precedono e pongono in essere ogni soggettività. In questo senso l’ “apparato psichico familiare”, che sviluppa le sue rêveries ed il suo sogno di filiazione nell’attività mitopoietica, nel pensiero di J.Bleger, si propone come area dello psichismo indifferenziato, contenitore e matrice della psiche individuale, zona transizionale da cui trae nutrimento lo psichismo primario del soggetto (J.Bleger, 1966, “Psychanalyse du cadre analytique” Internat. J. Psycho analyse, 48, pp. 511-519; trad.fr. di P.Hutchinson, R.Kaës, D.Anzieu, in Crise, Rupture et dépassement, Paris, Dunod, 1979, pp.255-274) Tale apparato psichico gruppale dà vita, secondo A.Ruffiot, ad un quadro di contenimento degli psichismi degli individui, è il luogo onirico della funzione alfa materna che permea di sé il pensiero gruppale, dove si origina la rêverie, che accoglie e nutre le rêveries individuali. “Esso assicura continuità, omogeneità e unità alla psiche familiare. Mantiene una corrente psichica profonda che dà il sentimento di essere della famiglia stessa, qualunque siano le distanze geografiche che separano i membri” (A.Ruffiot, “Il gruppo famiglia in analisi. L’apparato psichico familiare”, in Terapia familiare psicoanalitica, cit., p.54 ). L’appartenenza originaria a tale psichismo puro, primario e gruppale realizzerà nell’adulto la segreta corrente che nutre la vita onirica, la sua apertura interiore all’Altro, in quanto l’Io nasce quindi da un Non-Io con cui mantiene profondi legami e da cui riceve la disposizione ad aprirsi al cosmo che abita l’inconscio proprio e dell’Altro. Nel percorso di individuazione si svilupperà nel soggetto una dialettica elaborativa interna che lega e disgiunge alternativamente i due registri psichici, dando respiro alle dinamiche intersoggettive di appartenenza-separazione. Lo psichismo gruppale introiettato si porrà come tessuto affettivo interiore, luogo delle regressioni benefiche e ristoratrici per l’Io, su cui prende slancio creativamente il volo biografico e la capacità di sognare il reale. Se è vero, ad esempio, che per un adolescente è fondamentale amare l’ignoto, è altrettanto importante che egli possa conoscere sognando e riportare in vita ciò che è inscritto nella sfera degli affetti donata dalle generazioni precedenti. Nel racconto mitico, secondo L.Onnis, l’individuo trova la radice del suo aderire alle leggi del  corpo familiare, ma anche quella del suo libero volo che lo rende padrone del proprio destino (AA.VV., “Il mito familiare. Concetti teorici e implicazioni terapeutiche”, cit.). Il mito individuale, quale diramazione del mito familiare, è spesso componente silenziosa e inconscia delle scelte del partner negli investimenti d’amore in età adulta. Esso può dirigere la ricerca verso la restaurazione, nella coppia, dello stesso tessuto relazionale proprio delle relazioni primarie. Si ricercheranno dunque, nell’oggetto d’amore, peculiarità psichiche che offrano nutrimento al sogno di sé del soggetto. La coppia nasce da un patto inconscio; nell’area del “Noi” ogni soggetto, prima di ogni elaborazione, stabilirà forse di estendere emotivamente sull’Altro solo le parti di Sé che siano idealizzate e che sostengano il mito da cui egli proviene. “…i miti”, scrivono G.Vella e D.Solfaroli Camillocci, “non sono isolati, ma si vanno cercando”(G.Vella, D.Solfaroli Camillocci, “Dalla collusione coniugale alla ‘rappresentazione’ familiare”, Informazioni in psicologia, psicoterapia, psichiatria, n.27, Roma, 1996, pp.31-37). Gli autori spiegano come un soggetto che abbia, ad esempio, mantenuto un orientamento prevalentemente narcisistico negli investimenti, conservi e alimenti un’immagine di sé coincidente con l’ideale dell’Io, intimamente fragile, ma vissuta come immagine di luminosa grandiosità psichica. Egli sarà dunque facilmente attratto da una soggettività che ospiti immagini mitiche opposte di non valore e di desiderio di amabilità dell’essere. Si manifesta, quindi, tra i due soggetti una collusione inconscia di miti. “I miti sono intrisi di potere”, continuano gli autori, “…Riversare su una persona delle aspettative, delle quali è del tutto ignara, costituisce una netta, anche se inconsapevole, manifestazione di volontà di potere: l’altro non è l’irrompere inaspettato nella nostra vita, anzi crediamo di riconoscere in lui esattamente ciò che abbiamo già sognato e previsto”(Ivi).

 

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  1. avatar Dott.ssa Maria Rita Ferrisays:

    Psicoterapeuta Psicoanalitico
    Formazione Psicoanalitica post Lauream
    “Ciò di cui vi parlerò segue le linee guida di una narrazione inconscia. Vi invito, quindi, ad ascoltare con quella parte della vostra mente che accoglie i sogni.”